Antropomorfizzazione

Semanticamente parlando, una ricca risorsa delle costruzioni del jargon e la tendenza (propria degli hacker) ad antropomorfizzare hardware e software. I puristi della lingua inglese e gli scienziati informatici academici guardano spesso con superiorità su coloro che antropomorfizzano l'hardware e il software, considerandolo una sorta di compotamento caratteristico di un ingenuo malinteso. Ma la maggior parte degli hacker antropomorfizaz liberamente, spesso descrivendo il comportamento di un programma in termini di volontà e desideri.

Per questo è comune sentir parlare di hardware o software come se avessero dentro degli omini che parlano tra loro, con dei fini e dei desideri. Infatti si possono sentire frasi come: "Il gestore di protocollo si è confuso", o che i programmi "stanno provando" a fare qualcosa, o una potrebbe dire di una routine che "il suo obiettivo di vita è di...", o ancora "Non puoi far girare quelle due schede sullo stesso bus; si scontrano sull'interrupt 9".

Si possono anche sentire spiegazioni come "... e il suo piccolo povero cervello non ha potuto capirlo, ed è morto". Alcune volte modellare le cose in questo modo sembra veramente renderle più semplici da capire, forse perché è istinitivamente naturale pensare qualcosa che ha un reperorio di comportamenti così complesso come se fosse una persona piuttosto che una cosa.

A prima vista, per quelli che capiscono come questi programmi lavorano in realtà, sembra un'assurdità. Visto che gli hacker si trovano tra persone che sanno benissimo come questi fenomeni avvengono, sembra senza senso che usino un linguaggio che sembra conferire coscienza propria ai programmi. La mentalità dietro questa tendenza richiede quindi un più attento esame.

La chiave per capire questo modo di esprimersi è che non è fatto in modo ingenuo; gli hacker personalizzano le loro cose per entrare in contatto empatico con esse, non perché credono misticamente che le cose sulle quali lavorano ogni giorno sono "vive". Al contrario: gli hacker che antropomorfizzano esprimono non una visione vitale del comportamento di un programma, ma una visione meccanicistica del comportamento umano.

Quasi tutti gli hacker concordano con l'ontologia meccanicistica e materialistica della scienza. In questa visione le persone sono macchine biologiche - la coscienza è un interessante e prezioso epifenomeno, ma la mente è implementata in meccanica che non differisce di molto dai computer per quanto riguarda la capacità di processare informazioni.

Gli hacker tendono a portare all'estremo e sostengono che la differenza tra un sottostrato di atomi di CHON e acqua e un sottostrato di sillicone e metallo è relativamente priva di importanza; che significa che ciò che rende una cosa "viva" sono le informazioni e la ricchezza dello schema. L'animismo d'altra parte implica che umani, computer, delfini e rocce siano tutte macchine che esibiscono un continuo di modalità di coscienza in base alla loro capacità di processare informazioni.

Poiché gli hacker accettano che una macchina umana possa avere intenzioni, è facile per loro attribuire la coscienza e l'intenzione ad altri sistemi complessi schematizzati quali sono i computer. Se la coscienza è meccanica dire "Il programma vuole andare in un ciclo infinito" non è né più né meno assurdo di dire: "Ho voglia di andare a mangiare un po' di cioccolata", né meno giustificato di "La pietra, una volta lasciata, vuole muoversi verso il centro della terra".

Questo punto di vista ha una rispettabile compagnia nella filosofia accademica. Daniel Dennett organizza spiegazioni del comportamento usando tre argomenti: l'"argomento fisico" (cosa-da-spiegare come un oggetto fisico), l'"argomento progettuale" (cosa-da-spiegare come un artefatto), e l'"argomento intenzionale" (cosa-da-spiegare come un agente con desideri e intenzioni). Quali siano gli argomenti appropriati non è questione di una verità astratta ma dell'utilità. Gli hacker tipicamente vedono semplici programmi dal punto di vista dell'"argomento progettuale", ma quelli più complessi sono spesso modellati usando l'"argomento intenzionale".

E' stato anche argomentato che l'antropomorfizzazione di software e hardware riflette una sfocatura del margine che divide il programmatore e il suo artefatto - le qualità umane appartengono al programmatore e il codice esprime completamente queste qualità come suo delegato. Da questo punto di vista, un hacker che dice che un pezzo di codice "è confuso" sta effettivamente dicendo che lui (o lei) stesso/a è confuso/a riguardo a cosa voleva esattamente far fare al computer, il codice ha incorporato naturalmente questa confusione, e il codice esprime la confusione del programmatore quando viene eseguito crashando o comportandosi in maniera errata.

Notare che dicendo "è confuso" al posto di "sono confuso", il programmatore non evita la responsabilità, ma prende piuttosto una certa distanza analitica al fine di valutare il codice per trovare gli errori.

E' stato anche suggerito che l'antropomorfizzare sistemi complessi è in realtà un espressione di umiltà, un modo di riconoscere che semplici regole che noi capiamo (o che abbiamo inventato) possono portare a complessità comportamentali emergenti che non capiamo completamente.

Tutte queste spiegazioni modellano accuratamente la psicologia hacker, e dovrebbero essere considerate più come complementarie che come contrastanti.